Menti quantistiche, teorie dell’informazione ed esploratori visionari della coscienza
Brogliaccio del video: youtu.be/kEnRMOlwtA8
L’intervento di Paavo Pylkkanen al Convegno Svelare la magia della coscienza dell’istituto internazionale per gli studi sulla coscienza ICCS
Come ho anticipato nel video introduttivo, uscirò, pian piano, con una serie di contenuti riguardanti il convegno “Uncovering the Magic of Consciousness”, “Svelare la magia della coscienza”, svoltosi a Siena nel giugno 2024 e organizzato dal ICCS.
Di questa curiosa organizzazione ho parlato in quel video quindi non sto qui a ripetermi.
Nei miei ragionamenti sui singoli interventi, limitatamente a quelli a cui ho potuto essere presente e che ho quindi registrato, non procederò nel medesimo ordine del programma (che comunque vi lascio in descrizione, insieme a tutti gli altri link utili ad approfondire), ma inizierò e, molto probabilmente, mi limiterò a quelle relazioni che hanno suscitato di più il mio interesse per mie ragioni formative o personali.
Questo innanzitutto perché sono quasi tutti interventi veramente fitti di idee e spunti di riflessione e che di per sé durano intorno alla quarantina di minuti e c’è da aspettarsi che i video di commento vadano vicino al doppio di questo tempo.
Poi anche perché si tratterà di video piuttosto impegnativi e nei quali non mi dilungherò troppo a spiegare i concetti trattati. Questo mi fa pensare che non saranno esattamente i contenuti più popolari del mio canale. Vedremo.
Ma insomma, gli argomenti di cui si tratta sono davvero interessanti e quindi, eccoci qui!
Parto allora dal contributo di Paavo Pylkkanen, filosofo specializzato nella filosofia della mente e della fisica, attualmente professore presso le Università di Helsinki e di Skövde, Pylkkanen ha dedicato la sua carriera a investigare come la meccanica quantistica possa offrire nuove prospettive per comprendere i fenomeni mentali.
Intanto una nota editoriale: mi sono reso conto che nel corso di questo video dovrò dire “Pylkkanen” parecchie volte. Magari qualche volta mi limiterò ad un informale e amichevole “P.”, perdonatemi. Beg your pardon, P.!
Ora, perché partire proprio da questo intervento?
Un po’ perché, quando si tira dentro al dibattito sulla coscienza, del quale io sono solo un emerito turista, sia chiaro, si tira dentro, dicevo, la meccanica quantistica a molti di coloro che hanno un retroterra di umili studi fisici, come capita di essere a me, si accendono inevitabilmente mille allarmi e subito la mano corre alla pistola. Per questo motivo il contributo di P. è rimasto, da quella mattina, a stimolare il mio calletto critico, come se fosse un sassolino in una scarpa durante un ricevimento.
Questo piccolo disagio deriva dal timore che nel discorso possano emergere cose come l’ “idealismo quantistico” alla Amit Goswami o lo “spiritualismo quantistico” alla Fritjof Capra o anche alcuni concetti proposti dal qui di seguito citato John Wheeler, fisico di prima grandezza, fautore di alcuni concetti controversi, talvolta affini a quelli dell’idealismo quantistico, figura fondamentale per l’ipotesi che l’informazione sia alla base della realtà fisica
Ma mi interessa questo intervento per ragioni anche un po’ più personali: dato che ultimamente mi sono occupato soprattutto di etica e filosofia politica, è un po’ un ritorno alla mia zona di conforto, quella della filosofia della fisica e della matematica, per quanto questo argomento, legato anche fortemente alla filosofia della mente, al rapporto della coscienza con l’informazione e la meccanica quantistica, si vedrà, e nonostante tutti i possibili sforzi per semplificare, risulti complicatissimo e spinosissimo, oltreché dubbio al di là del controverso.
Però non precorriamo i tempi, anche se ho davvero urgenza di togliere il sassolino.
Il vero merito di questa relazione è di introdurre una miriade di concetti e dettagli interessanti, di cui ho gran voglia di parlare.
Ecco quindi le mie annotazioni, ampiamente critiche, lo preannuncio, all’esposizione di Pylkkanen, al convegno Uncovering the Magic of Consciousness.
E, non interessa a nessuno, ma voglio anche incidentalmente spiegare perché sono così fortemente critico: perché le teorie più fantasiose ed estreme mi affascinano oltre ogni dire e mi devo quindi tenere sempre un passo indietro, trattenendo con la briglia del senso critico il mio gusto per le speculazioni più fantastiche e lisergiche, alla Rovelli e alla Bohm.
Non voglio fare il guastafeste insomma, ma nemmeno farmi portare in giro dai pifferai delle teorie più metafisiche del momento. Credo che sia un atteggiamento intellettualmente sano, finché non inaridisce la fantasia e il cuore.
Ecco quindi perché mi troverete così critico, in quel che segue: per metodo, non per gusto.
Per chi fosse particolarmente interessato a questi temi e al suo punto di vista lascio anche il link a un articolo di P., intitolato “Is the Brain Analogous to a Quantum Measuring Apparatus?” (link in descrizione), in cui l’autore affronta in modo più approfondito il tema di cui stiamo per parlare.
E adesso iniziamo sul serio, seguendo l’intervento di P. come una vera “onda pilota”. In descrizione trovare il link alla versione integrale dello speech.
ESTRATTO 1 <<0:35-1:00>>
Pylkkanen parte dunque dal titolo della sua presentazione: “The role of information in the explanation of consciousness.” Cioè: il ruolo dell’informazione nella spiegazione della coscienza.
P. ci conferma subito che il tipo di informazione di cui parla nel titolo non è, come qualcuno potrebbe aspettarsi, semplicemente quella classica, teorizzata e trattata dalla teoria dell’informazione di Shannon.
Intende l’informazione quantistica, che è una cosa abbastanza diversa e più sottile.
Non che quella classica non sollevi già di per sé un sacco di problemi, in fisica.
Nella fisica moderna in generale, anche non quantistica, il concetto di informazione spunta fuori in ogni ambito e il dibattito è assolutamente acceso e non risolto. Si parla di leggi che prefigurerebbero la conservazione delle “informazioni” e che, scusate la ridondanza, dovrebbero fornirci informazioni sull’intimità dei buchi neri.
Oppure, è uscito un recente paper dal titolo “The second law of infodynamics and its implications for the simulated universe hypothesis” (La seconda legge dell’infodinamica e le sue implicazioni per l’ipotesi dell’universo simulato) , uscito nel 2023 che, avanza una specifica teoria dell’entropia dell’informazione, come vero e proprio meccanismo fisico. L’autore di quell’articolo sostiene che questo principio potrebbe addirittura consentire un approccio sperimentale alla confutazione o meno dell’idea che effettivamente stiamo vivendo (sto vivendo?) in una simulazione.
Diciamo che le critiche all’idea che l’informazione abbia un valore fisico autonomo sono anch’esse molte e interessanti e provengono anche dalle parti più inattese.
Per dire, in descrizione trovate il link al classico articolo di Ralph Landauer “Information is Physical” – che si chiude con la frase “[…] I do suggest that there is a strong two-way relationship between physics and information handling.”. In questo articolo Landauer espone un esperimento che sembrava aver dimostrato che la cancellazione di un’informazione in un calcolatore aumentasse l’entropia in modo irriducibile alle operazioni del calcolatore stesso. Sembra quindi che l’informazione potesse avere una sua concreta esistenza fisica e un rapporto con lo stato termodinamico di un sistema. Vi lascio anche il riferimento di un altro articolo dove si dice che le idee di Landauer sono state confutate, attraverso un recente esperimento presso l’Università di Perugia. Questo risultato, se confermato, potrebbe fornire un elemento per riconsiderare una diffusa tendenza nella fisica contemporanea ad attribuire valore fisico all’informazione o forse no, chissà.
Landauer stesso, d’altra parte, sosteneva che “l’informazione è fisica”, nel senso che non esiste informazione senza un substrato fisico che la realizzi. Tuttavia, era scettico riguardo all’idea che l’informazione possa essere una realtà fisica fondamentale.
Abbiamo poi, per esempio, il già citato Carlo Rovelli, che sostiene che l’informazione non è solo una descrizione dei sistemi fisici, ma una componente essenziale della struttura dell’universo. “Il mondo è una rete di reciproca informazione al livello fisico più elementare”, dice Rovelli in Helgoland. E “Information is Physical” è, ancora una volta, il titolo di un suo recente articolo, scritto con Emily Adlam, riguardante l’interpretazione della meccanica quantistica formulata negli anni ’90 da Rovelli stesso, di cui accennerò dopo, quando parleremo delle interpretazioni della meccanica quantistica..
Ma non è solo tra i fisici che troviamo un acceso dibattito su questo argomento.
Per John Searle: “la nozione di computazione, lungi dall’essere una proprietà intrinseca del mondo, è infatti essenzialmente relativa a un osservatore.” dice, ne “La riscoperta della mente”. Qui inoltre Searle nega che l’informazione abbia un ruolo nel funzionamento del cervello: “Il mio immaginario contendente incorre purtroppo in uno dei più gravi errori commessi dalle scienze cognitive: egli suppone infatti che il cervello elabori informazioni allo stesso modo dei calcolatori. Basta confrontare ciò che accade in un calcolatore con ciò che avviene all’interno del cervello per rendersi conto di quanto questa tesi sia errata.”
Questo per dire che ciò che oggi viene spesso affermato con disinvoltura, cioè che l’informazione, per esempio “si conserva”, è tutt’altro che un’evidenza empirica. Anzi, cominciano ad emergere timidi segnali contrari a questa idea. Ciò non toglie che molti fisici propendano per questa impostazione, in modo tra loro anche molto diversi e sfumati. Lo vedremo ancora dopo.
Ora, nell’approccio di Pylkkanen, come ho detto, si va oltre e si parla di informazione quantistica. E che cos’è mai, questa “informazione quantistica”, dall’aggettivazione tanto esotica ed intrigante.
Non proprio semplicemente, è l’estensione della classica teoria dell’informazione alle informazioni riguardanti un sistema quantistico. Teniamo presente che uno dei fattori chiave della misurazione di un sistema quantistico è che la misura, proprio come l’apparato di misura, non è più parte del dominio quantistico ma ciò che si produce è informazione “classica” o, sarebbe forse meglio dire, macroscopica.
Vediamo come argomenta P., addentrandoci ulteriormente nel suo discorso e svisceriamo insieme le molte e interessanti questioni che vengono tirate in campo. Taglierò brutalmente il suo discorso, anche perché nella mia analisi non posso fare a meno di parlare prima di cose che lui cita solo in seguito.
ESTRATTO 2 <<1:52-3:33>>
Qui ci dice che parlerà della teoria dell’ “informazione attiva” derivante dalla interpretazione di David Bohm della meccanica quantistica, che “potrebbe applicarsi a livello quantistico” e vedremo come “l’informazione attiva potrebbe spiegare la nostra conoscenza dei qualia e della coscienza.”
Dato che P. usa il concetto di qualia, presupponendo che tutti sappiano di cosa si tratti, in quel contesto, mi soffermo un attimo per darne una breve definizione, senza nessuna pretesa di esattezza e di esaustività:
I “qualia” sono definiti come le qualità soggettive delle esperienze coscienti, cioè l’aspetto fenomenico del “come si sente” vivere un’esperienza, come il rossore di un tramonto o il gusto di una mela.
I qualia condividono con l’informazione il fatto che c’è chi sostiene che abbiano una loro esistenza effettiva, anche se, concedetemi la battuta, non direi proprio oggettiva e certamente non fisica. Tra i sostenitori di questo punto ci sono chiaramente alcuni filosofi che a questo convegno, anche se ovviamente assenti, facevano un po’ le veci dei padroni di casa: Nagel (“Com’è essere un pipistrello”, link in descrizione) e, soprattutto, David Chalmers (il dominio del sito dell’istituto è hardproblem.com ci dice molto), il quale sosteneva che ci sono due tipi fondamentali di proprietà nel mondo: le proprietà fisiche e le proprietà fenomeniche, cioè, appunto, i qualia. Queste ultime sono proprietà irreducibili che non possono essere spiegate semplicemente dalle proprietà fisiche.
Questo tipo di dualismo non implica l’esistenza di due sostanze separate – come nel dualismo cartesiano – , ma piuttosto l’esistenza di due tipi di proprietà che coesistono nel mondo e che richiedono spiegazioni separate.
Dopo aver citato incidentalmente Ron Chrisley, importante studioso di ciò di cui stiamo parlando e che tornerà in coda al discorso, P. dice una cosa molto interessante: “spesso le persone che pensano di poter spiegare la coscienza senza di essa [cioè senza la meccanica quantistica], presuppongono ancora una visione abbastanza tradizionale del mondo fisico”.
E qui ci sarebbe molto da dire. L’idea che i fenomeni quantistici giochino un ruolo nel funzionamento della mente è quantomeno tutt’ora indimostrata e, dunque, assai controversa. Se infatti consideriamo la mente il frutto di fenomeni quantistici di qualche genere, questo non dovrebbe riguardare il funzionamento manifesto del cervello e dei neuroni che sono, abbastanza evidentemente, strutture a scala sì minuscola ma non a livello quantistico.
Per capirci la scala di grandezza dei neuroni è tra tra 10 e 100 micrometri (o micron, µm) di diametro quindi nell’ordine di grandezza dei 10^-5, 10^-6 metri (1 100millesimo – 1 milionesimo di metro). In particolare i microtubuli cerebrali, che sono strutture filamentose all’interno delle cellule, inclusi i neuroni, e che vedremo in seguito sono coinvolti nel dibattito sulla natura quantistica della coscienza, hanno un diametro che si aggira intorno ai 25 nanometri (2,5 × 10^-8 metri). In termini di lunghezza, i microtubuli possono variare notevolmente, da poche centinaia di nanometri fino a diversi micrometri, a seconda della funzione e della posizione all’interno della cellula.
La scala a cui intervengono i primi effetti quantistici è circa intorno al miliardesimo di metro (10^-9 metri). Per avere un paragone che, temo, non aiuta a fare maggiore chiarezza, la minima lunghezza possibile nel nostro universo, secondo la meccanica quantistica è la lunghezza di Plank: 1,6×10^-35 metri. Cioè 1,6 diviso un numero pari a 1 seguito da 35 zeri. Chiaro no?
Altre scale coinvolte nel funzionamento del cervello sono gli spazi sinaptici, intorno a 10^−8 metri e la dimensione delle molecole dei neurotrasmettitori al minimo 10^−9 metri. Questa scala è effettivamente al limite del regno della meccanica quantistica, ma è un fatto che tutto il resto del sistema è costituito da apparati di scala non quantistica.
E tutto ciò che non è quantistico, si ritiene generalmente, ricade sotto il dominio della fisica classica. Questo include, come dicevo, sia gli strumenti di misura, sia gli scienziati e, fino a prova contraria, i loro cervelli.
Qualcuno obbietterà che esistono comportamenti quantistici in ambiti macroscopici, come la superfluidità. A questo proposito lascio un interessante articolo tra le fonti, dal titolo “Macroscopic Quantum Systems and the Quantum Theory of Measurement” (Sistemi quantistici macroscopici e teoria quantistica della misurazione) e non mi addentro oltre.
Ma quindi non c’è vergogna e non si può essere accusati d’essere particolarmente, non solo reazionari ma neanche conservativi, se per fare i conti di tali sistemi macroscopici usiamo la fisica classica, intesa come “non quantistica”, che non è, in molte sue parti, per niente datata come alcuni sembrano pensare. Anzi, la fisica “classica” progredisce ogni giorno, perché serve ogni giorno. Va anche detto che la relatività stessa, a cui P. accenna, è considerata da molti parte della “fisica classica”, in quanto legata a concetti deterministici pre-quantistici.
È bene sempre tenere presente che le teorie fisiche attuali, benché metafisicamente interpretate dai fisici più filosoficamente sofisticati come passi intermedi verso una generale visione unificata e monistica del mondo, che viene chiamata Teoria del Tutto, hanno viceversa ognuna il suo ambito di applicazione, definito spesso dalla scala delle grandezze o dai livelli di energia.
Così è per la relatività generale poco utilmente fin qui è stata applicata al mondo microscopico, ma fondamentale per comprendere i fenomeni cosmici. Così è per la meccanica quantistica che regna sovrana proprio in quell’ambito del grandemente piccolo ma non è molto utile e maneggevole quando gli oggetti si fanno pesanti e complessi. Così la meccanica classica, con un occhio sempre alla relatività ristretta, che opera ancora utilmente ed onorevolmente in ogni ambito della vita quotidiana, lancio di satelliti e sonde interplanetarie incluso.
Anche per questo motivo l’inclinazione a tirare dentro alla questione della coscienza la meccanica quantistica, che affonda le radici in alcune idee su come la strana natura del reame dei quanti interagisce con la realtà come la percepiamo, può suscitare immediato scetticismo.
Pylkkanen, ci propone in modo esplicito l’idea che il cervello umano potrebbe operare in modo simile a un apparato di misura quantistico e aggira il discorso che ho fatto sopra sulle scale di grandezza grazie a una particolare idea, legata all’interpretazione di Bohm della meccanica quantistica e al concetto di onda pilota. Cioè che l’interazione quantistica tra, mi si passi l’espressione, mente e mondo, non sia a livello di meccanica quantistica ma su un livello, come dice, “più sottile”, forse interfacciandosi, attraverso un meccanismo non identificato, direttamente con l’onda pilota stessa. La coscienza sarebbe quindi capace di interferire, influenzare, dialogare con un ente fantomatico, in grado di far percorrere una strada anziché un’altra a una particella, agendo come un “apparato di misura quantistico”. Intendendo qualcosa di diverso dagli apparati di misura di cui i fisici hanno normalmente esperienza. Si ipotizza, forse si presume, la capacità del cervello di interagire a “livello quantico”, e quindi il coinvolgimento di aspetti del mondo quantistico come la non-località e l’entanglement, nel processo di generazione della coscienza e dei qualia (ricordate, le esperienze soggettive). Insomma, lo ribadisco. secondo questa ipotesi il cervello non solo processerebbe informazioni classiche ma potrebbe anche influenzare ed essere influenzato da fenomeni quantistici a livello fondamentale.
In parole povere, il cervello potrebbe “rivelare” aspetti del mondo quantistico nel dominio classico, legato all’idea di onda pilota di cui parleremo tra poco. P. propone una metafisica “scientifica”, il che può sembrare una contraddizione in termini ma che è viceversa una terminologia che potremmo usare per molte ipotesi di confine delle teorie contemporanee, che integri i migliori concetti della fisica quantistica con le scienze della mente.
Ascoltiamo ancora.
ESTRATTO 3 <<4:07-4:54>>
P. introduce molto rapidamente alcune teorie altamente speculative, dalle osservazioni di Penrose sugli aspetti di uno spazio dove possa esistere la non località quantistica, al “programma” di David Bohm e Basil Hiley, alle pre-geometrie di John Archibald Wheeler. Tutti aspetti molto interessanti, per quanto tutti legati a ipotesi ancora, come dicevamo, schiettamente metafisiche, mai corroborate da osservazioni sperimentali, e che meriterebbero tutte un approfondimento che qui non mi posso permettere.
Per dire le geometrie pre spaziali sono qualcosa di così fantasioso da avere comunque un certo appeal, per quanto scetticismo possano suscitare.
ESTRATTO 4 <<4:57-5:27>>
In questo passaggio P. cita incidentalmente il progetto Universe+, di cui io ero completamente all’oscuro. Si tratta di un programma recentemente finanziato dal programma europeo ERC Synergy, che è effettivamente qualcosa che si propone di mettere sotto una luce nuova i fenomeni della meccanica quantistica e dello spazio-tempo relativistico, attraverso lo studio delle forme geometriche, delle cosiddette geometrie positive (da cui il + del nome), emerse in modo importante negli ultimi anni nello studio della fisica delle particelle negli acceleratori.
P. commenta il progetto dicendo “stanno cercando di esaminare il livello più profondo nella fisica, da cui emergerebbero poi lo spazio-tempo e gli oggetti materiali. E speriamo di ottenere la meccanica quantistica e la relatività generale come casi speciali, mentre combinandole adesso otteniamo delle serie complicazioni.” Sempre in viaggio verso il sol della teoria del tutto, insomma.
Il team proponente, costituito da 4 scienziati come da regolamento, è di composizione davvero multidisciplinare ed è un po’ tutto ruotante intorno al Institute for Advanced Study di Princeton. Pare strano che un programma europeo dia 10 milioni di euro a un progetto che sembra avere la sua base operativa numero 1 di Einstein Drive, Princeton, ma evidentemente il progetto è sembrato così interessante e così pieno di europei da non potergli dire di no. Ma questo non c’entra, via.
Devo dire che questa ricchezza di citazioni e di riferimenti da parte di Pylkkanen è proprio ciò che mi ha spinto a pensare questo video in questo modo. Sono tali e tanti gli aspetti di cui parla, che mi pare ne possano fiorire letture interessanti per tutti – che non devono in nessun modo limitarsi alle sole benché molte fonti che io vi lascio in descrizione e che cito in questa analisi e, dal mio punto di vista, molti video futuri.
ESTRATTO 5 <<5:32-6:07>>
Qui cita Cartesio affermando che “E forse c’è un senso in cui Cartesio aveva ragione dicendo che la coscienza non vive nell’estensione spaziale. Chi lo sa? Forse aveva ragione. Dove forse si sbagliava era nel dire che la materia può essere identificata con l’estensione spaziale. Ma lascio solo come commento che forse Cartesio non era così male come spesso ci viene detto in ogni testo di filosofia della mente.”
P. ha fatto il suo PhD interagendo con lo stesso Bohm nel Regno Unito, proprio su questi argomenti (min 6:30). E poi va oltre e dice che per passare a qualcosa di “più concreto” adesso ci occuperemo del concetto di ordine implicato formulato da David Bohm
Questa analogia si basa sull’interpretazione ontologica della meccanica quantistica di David Bohm e Basil Hiley, secondo la quale il potenziale quantistico non solo guida le particelle a livello subatomico, ma potrebbe anche essere fondamentale per comprendere i processi biologici e psicologici.
A questo punto P. si lancia nel promesso tutorial sulla meccanica quantistica, sui classici esperimenti con le fenditure.
Potete ascoltare lui, oppure posso tentare io di sintetizzare quel che ci serve in poche parole che non chiariscono nulla ma che danno un contesto.
Alla base della meccanica quantistica c’è un’equazione dall’aspetto ingannevolmente innocente:
Questa fondamentale equazione ha come incognita la funzione d’onda ψ (psi) che, è una delle possibili interpretazioni, esprime, volendola fare facile facile, la probabilità di trovare una data particella in un dato punto a un dato tempo.
Questa equazione apre il campo a tutto quello di cui parleremo dopo, cioè le molte interpretazioni della meccanica quantistica, fenomeno più unico che raro in fisica: nessuna altra teoria ha mai generato “interpretazioni” così radicalmente diverse tra loro e così altamente indecidibili. Il motivo è che ogni altra teoria fisica che abbiamo è deterministica, relatività generale inclusa.
L’interpretazione del significato della funzione d’onda e in particolare del suo collasso, cioè del suo ridursi da fenomeno probabilistico a evento fisico determinato e rilevabile, apre un mondo di riflessioni tra il metafisico e il filosofico.
Di questo non vi sto a parlare oltre e mentre P. si addentra in questi aspetti basilari, citando il classico esperimento della doppia fenditura, usiamo qualche minuto per illustrare meglio la teoria o, meglio, l’interpretazione di Bohm e Hiley.
Detta anche interpretazione ontologica, cioè che spiega la natura delle particelle a partire dal linguaggio matematico, la teoria di David Bohm e Basil Hiley è una particolare interpretazione della meccanica quantistica di cui accennavo poco fa.
In questo contesto immaginiamo che le particelle quantistiche non siano solo numeri e funzioni matematiche, ma abbiano una realtà fisica concreta e fondamentalmente deterministica. Secondo Bohm e Hiley, le particelle sono guidate da qualcosa chiamato “potenziale quantistico” o “onda pilota”. Questo potenziale non spinge fisicamente le particelle, ma le “informa” su come muoversi, proprio come il radar guida una nave, non già fornendole propulsione e capacità di manovra, a cui la nave pensa da sé, ma informandola su ostacoli e percorsi e dunque influenzandone il comportamento. Si tratta di un esempio classico e successivamente lo usa anche P. nel suo discorso.
Questa particolare interpretazione rende il collasso della funzione d’onda un evento apparente perché l’onda pilota è un epifenomeno, utile per giustificare gli effetti quantistici conservando le particelle come vere entità fenomenologiche classiche.
Per questa, come per ogni altra interpretazione della meccanica quantistica, il problema principale è che è stato fin qui impossibile testare questa variante della teoria con esperimenti concreti. Le particelle e il potenziale quantistico non sono direttamente osservabili, infatti, rendendo almeno allo stato delle cose, impossibile la scelta tra questa o ogni altra interpretazione.
Viene affermato che il potenziale quantistico introduce il concetto di non-località, dove le particelle possono influenzarsi a distanza senza un contatto diretto (entanglement). Questo comportamento, benché in contrasto con la fisica classica e con la teoria della relatività, è un aspetto fisico dimostrato sperimentalmente e conseguenza diretta della meccanica quantistica.
Uno dei problemi specifici è che l’interpretazione ontologica richiede calcoli matematici più complessi rispetto alla teoria tradizionale, senza aggiungere nessun vantaggio, il che può renderne difficile l’applicazione pratica e quindi ha reso la variante poco popolare, tra i fisici. Ci torneremo sopra tra un po’, parlando del panorama delle interpretazioni della meccanica quantistica.
Nonostante questo, l’idea di P. e di altri è che il potenziale quantistico potrebbe aiutarci a capire come funziona la nostra mente, per quello che dicevamo prima, partendo dall’ipotesi che il cervello potrebbe operare come un apparato di misura quantistico.
Il fatto è che non ci sono prove concrete che processi quantistici siano coinvolti nella coscienza. Anche se ci sono analogie interessanti, non è chiaro come queste si traducano in meccanismi nel cervello. La biologia del cervello è complessa e potrebbe essere riduttivo spiegare tutto con fenomeni così basilari come quelli indagati dalla fisica quantistica.
L’interpretazione ontologica della teoria quantistica di Bohm e Hiley ci offre una possibile prospettiva per unificare fenomeni fisici e mentali. Tuttavia, la mancanza di verificabilità empirica, la complessità matematica e le critiche sulla rilevanza biologica sollevano importanti domande sulla sua validità e applicabilità. La proposta di Pylkkanen di utilizzare questa teoria per spiegare la coscienza è affascinante, ma non sembra che nessuno sia in grado di suffragare questa ipotesi con nessun elemento probatorio.
ESTRATTO 6 <<13:02-13-44>>
P. accenna qui alla vasta quantità di interpretazioni della meccanica quantistica che circolano oggi. Vi mostro anch’io la pagina wikipedia inglese sull’argomento, ben più ricca di quella in italiano. Come si può vedere le interpretazioni sono svariate e con approcci assai più che disparati.
Questa tabella però ci dice poco su quanto sia attraente, ognuna di queste interpretazionui, per i fisici quantistici.
A questo proposito colgo l’occasione per citare un piccolo studio per cui ho sviluppato negli anni una specie di ossessione: ecco un’altra immagine, stavolta tratta da “A Snapshot of Foundational Attitudes Toward Quantum Mechanics”, un sondaggio effettuato nel 2011 su 48 fisici teorici partecipanti al convegno “Quantum Physics and the Nature of Reality” tenutosi in Austria, che si confronta fin da subito con un altro, tenuto nel 1997 da un altro fisico visionario, “Mad” Max Tegmark (uno dei miei eroi), in occasione di un altro convegno: “Fundamental Problems in Quantum Theory,” svoltosi presso l’Università del Maryland.
Naturalmente questo sondaggio, proprio come il precedente, ha vari difetti, come ammettono anche gli autori dello studio: il campione, benché si parli di fisici quantistici, è comunque abbastanza ristretto (anche se non quanto si potrebbe pensare). In ogni caso ci sono alcuni aspetti interessanti.
Torniamo per un attimo alla questione dell’informazione in fisica e all’informazione quantistica in particolare. I tre quarti degli intervistati sostengono che l’informazione quantistica: “È una boccata d’aria fresca per le fondamenta quantistiche” e solo il 12% (congiunto) ritiene che sia irrilevante dal punto di vista delle fondamenta quantistiche.
Una risposta però ancora più interessante per la prospettiva dell’intervento di Pylkkanen i fisici intervistati la danno a un’altra domanda: “Qual è la tua interpretazione preferita della meccanica quantistica?”.
A questa domanda nessuno degli intervistati ha risposto “De Broglie–Bohm”, cosa che ha stupito per primi gli intervistatori, mentre la parte del leone l’ha fatta ovviamente l’interpretazione di Copenhagen, seguita, attenzione attenzione, dall’interpretazione basta sull’informazione e da quella a molti mondi. Brilla per la sua assenza, come notano gli autori stessi, sottolineando la loro manchevolezza, l’importante alternativa “pragmatica” a ogni possibile interpretazione, cioè la cosiddetta “shut up and calculate” stai zitto e calcola. Un approccio che, per citare di nuovo “Mad” Max Tegmark, fautore, tra le altre, di teorie molto avanguardiste sull’universo e sulla coscienza, sia privo di ogni “bagaglio” filosofico, fenomenologico o di qualunque cosa non sia formalismo matematico puro. C’è da ritenere che se fosse stata un’alternativa presente avrebbe spostato non poco gli equilibri del sondaggio.
Questo studio è davvero interessante e ci tornerò sopra con un futuro video.
In ogni caso, ciò che ci racconta ai fini della nostra discussione attuale, è che nell’ambiente della fisica quantistica, al momento, la popolarità dell’interpretazione di Bohm pare ridotta a zero, mentre è in grande spolvero una visione connessa al concetto di informazione, vista da alcuni come grandezza fisica in qualche modo oggettiva, ma da molti altri come approccio formale.
La questione è come sempre aperta. Nell’indagine non viene per esempio citata l’interpretazione relazione di Carlo Rovelli, in cui comunque l’idea di informazione come fatto fisico è fortemente presente.
Quello che spesso sembra poco chiaro è come le varie interpretazioni non influenzino in niente il modo in cui la teoria dei quanti e, se per questo, quella dei campi quantistici funzionano. Anzi, l’interpretazione di Bohm tende ad essere accusata di complicare addirittura la matematica.
Le interpretazioni cercano di spingere la migliore teoria dell’universo che possediamo in direzioni “filosofiche”, fortemente basate sul gusto di ognuno.
Da questo punto di vista sì possono suddividere le interpretazioni della meccanica quantistica in due grandi gruppi: il gruppo ontico, che ritiene che la funzione d’onda sia una realtà fisica oggettiva, e il gruppo epistemico, dove la funzione d’onda è vista come una rappresentazione della conoscenza piuttosto che una realtà in sé.
Buffo, mi sono reso conto adesso, riguardando questi argomenti, che mentre per un “continentale” come me (ATTENZIONE: solo nel senso cresciuto in un paese dove dominava la filosofia continentale, non nel senso di aderente alla filosofia continentale), “ontico” non può non richiamare alla mente Heidegger; invece tra gli anglosassoni di questa associazione non si trova cenno all’uso del filosofo tedesco di questo termine. Vabbè, se mancassero mai i motivi per ribadire la marginalità sostanziale del grande maestro di tanti filosofi nostrani, noi ne troveremo sempre di nuovi! Ma dai, questo non c’entra.
Nel sondaggio che stiamo analizzando i rapporti di forza tra questi due approcci filosofici sono, come si vede, piuttosto equilibrati, ma superati dal bisogno diffuso di una sintesi tra i due.
<<IMMAGINE>> “What interpretation of quantum states do you prefer?”
Gli autori su questo osservano che, cito: “Alla luce del fatto che le interpretazioni epistemiche e ontiche costituiscono punti di vista così radicalmente diversi, è interessante osservare un pareggio virtuale tra queste due [classi di] interpretazioni. Sorprendentemente, i sostenitori dell’interpretazione d’insieme sembrano tutt’altro che scomparsi.”
Alla luce di tutto quanto è stato detto ci si può forse formare un proprio giudizio sul passaggio dell’intervento che segue:
ESTRATTO 7 <<27:33- 28:56>>
Qui P. fa alcune osservazioni sulla versione “più sobria” della cosiddetta meccanica Bohmiana, che era un po’ l’aspetto che mi aveva attratto da ragazzo verso questa interpretazione: l’idea di rimandare le lancette dell’orologio del determinismo indietro, “quasi a tornare alla meccanica classica” come dice P.. Ma quando Bohm, cito, “iniziò a parlare di cose esotiche come l’informazione attiva, in molti non ne furono contenti”.
Ma torniamo un attimo alla questione dell’informazione:
ESTRATTO 8 << 28:57 – 29:40 >>
Qui, ricollegandoci a quanto dicevamo prima sulla teoria dell’informazione di Shannon, P. afferma che “l’informazione attiva non è essenzialmente collegata alla nostra conoscenza o alla sua mancanza perché è un’informazione rilevante per determinare il movimento dell’elettrone stesso”. Quindi non stiamo parlando di informazione come misura della nostra conoscenza ma come ente fisico esistente per sé, nella forma specifica dell’onda pilota che “informa” le particelle elementari, i quanti.
E poi si viene a una teoria che personalmente ho scoperto in anni recenti, grazie all’amico psichiatra Alberto de Capua e che mi affascina tutt’ora.
ESTRATTO 9 <<29:49- 30:16 >>
P. accenna al fatto che ci potrebbero essere delle somiglianze tra la teoria dell’informazione integrata di Tononi, nella quale la coscienza è definita dalla capacità di un sistema di integrare informazioni e la teoria dell’informazione attiva di Bohm. Nella teoria di Tononi si cerca di superare l’impasse delle molte teorie della coscienza per andare verso una misurabilità del fenomeno “coscienza” in sé.
Che io sappia però Tononi non ha ancora pubblicato niente che affronti una possibile integrazione dell’informazione quantistica nella sua teoria della coscienza. La sua teoria rimane, almeno fino agli scritti più recenti e per quanto io ne abbia letto, ancorata saldamente a un contesto classico in quanto macroscopico.
Arriviamo in fondo per introdurre un rapporto importante per il lavoro di Pylkkanen, quello con il già citato filosofo e scienziato cognitivo Ron Chrisley.
ESTRATTO 10 <<32:00 – 32:36>>
P. si riferisce qui a un articolo scritto da Chrisley sulle reti neurali quantistiche (QNN) che, penso, sia quello di cui lascio il link tra le fonti che risale al ’96, effettivamente.
Quello sul potenziale delle QNN è un altro ambito fortemente speculativo. Lo stato dell’arte delle reti neurali quantistiche, infatti, così come della computazione quantistica in generale non è molto avanzato ancora oggi, anche perché esiste un problema fisico basilare, riguardante la fisica quantistica a molti corpi.
Si tratta, tenetevi forte, della crescita esponenziale della dimensioni dello spazio di Hilbert, con il crescere della dimensione del sistema analizzato. Questa crescita rende estremamente difficile la soluzione dell’equazione di Schrödinger, cioè la funzione d’onda che “vive” nello spazio di Hilbert (di nuovo cito Tegmark), del sistema e porta all’interno di esso una forte instabilità.
Il “rumore” quantistico e gli errori di decoerenza, in particolare, limitano fortemente l’affidabilità e la precisione delle operazioni quantistiche. Questo rende difficile eseguire calcoli complessi o mantenere la coerenza dei qubit per il tempo necessario a completare i calcoli richiesti da una QNN.
Mi rendo conto che sono arrivato fin qui senza aver introdotto il concetto di qubit. Ah, non ci perdo troppo tempo: il qubit è il bit, ma nella computazione quantistica, dotato di caratteristiche esotiche e molto affascinanti, dovute appunto alla non località dei fenomeni quantistici. Andatevelo a vedere. Link in descrizione. Magari ne parleremo altrove. Se non sapete cosa è un bit, eh, insomma… che devo ci fare?
Per quello che riguarda l’informazione attiva e le critiche di Chrisley al lavoro di Bohm e Hiley:
ESTRATTO 11 <<32:36 – 33:31>>
Chrisley ha espresso il dubbio che l’informazione quantistica attiva, purché esista, aggiungo io, potrebbe non essere sufficientemente complessa per spiegare l’intenzionalità della mente.
Intenzionalità. Un concetto centrale. Tra l’altro al convegno c’è stato anche un intervento del prof. Voltolini, che sull’intenzionalità ha avuto e ha molto da dire. Affronterò il suo intervento in un video futuro, spero.
Qui P. suggerisce che si potrebbe avere una sorta di proto-intenzionalità, ma Chrisley, ci dice, obbiettò che per avere intenzionalità ci deve essere la possibilità di errore. Si accenna alla possibilità di ingannare l’elettrone manipolando l’onda pilota, la possibile presenza di un cartesiano “demone malvagio” e qui mi perdo io e, pare, si persero anche loro.
Ed ecco il pezzo finale dell’intervento di P., prima delle domande:
ESTRATTO 12 <<33:31 – 36:37>>
In questa ultima parte dell’intervento P. ci parla di una nuova proposta di Chrisley, legata ad alcune sue “interazioni con Dennet”. Chrisley: “suggerisce che se la nostra conoscenza dei nostri qualia avviene in virtù dell’informazione attiva, allora potremmo spiegare l’immediatezza, l’intrinsechezza e la privacy del qualia”. E questo potrebbe spiegare non solo la coscienza ma anche come possiamo avere accesso immediato alla nostra coscienza.
La privacy per quanto potrebbe suonare strano è importante non solo per i qualia, ma anche per certi meccanismi quantistici. Ma su questo non abbiamo tempo di addentrarci, adesso.
C’è infine un altro accenno a Cartesio e sul fatto che non possiamo sbagliarci sul fatto di esistere quando pensiamo di esistere, il che avrà fatto sobbalzare molti dei filosofi presenti.
Attendiamo quindi l’annunciato articolo congiunto di P. e di Chrisley che dovrebbe mostrare non solo gli aspetti ontologici di tutto questo, ma persino le potenziali “implicazioni radicali per l’epistemologia”.
E chiudiamo con due domande di un certo interesse dal pubblico, poste da due dei partecipanti al congresso.
Domanda 1, da parte del prof. Michel Pauen dell’Università di Berlino
ESTRATTO 13 <<36:47- 37:56>>
Pauen chiede in sostanza: dato che abbiamo già dei modelli che simulano le aree linguistiche del cervello, ciò fa pensare che la modellizzazione e la comprensione del modo in cui il cervello elabora le informazioni non sembri più così problematica come in precedenza. Ciò che sembra problematico è come questa elaborazione delle informazioni diventi infine cosciente. Cosa aggiunge la tua teoria a tutto questo?
La risposta di P.
ESTRATTO 14 <<37:58 – 40:48>>
Onestamente la risposta non mi pare rispondere ne aggiungere niente a quanto detto, se non l’introduzione di un altro enfant terrible della fisica, Jack Sarfatti, in uno scenario già molto speculativo e complesso.
Sarfatti ipotizza, tra l’altro che, nel contesto dell’interpretazione ontologica della meccanica quantistica, non solo il campo quantistico influenzi le particelle, ma le particelle stesse possano avere un effetto di retroazione sul campo (Back-Action). Questa interazione bidirezionale potrebbe essere, secondo Sarfatti, la chiave per comprendere come si generano i qualia, ovvero, lo ribadisco, le esperienze soggettive della coscienza. I qualia coscienti emergerebbero quando la materia esercita una retroazione su queste onde quantistiche. In altre parole, le esperienze soggettive potrebbero essere il risultato di questa interazione tra la materia e il campo quantistico.
Ma passiamo oltre, con la domanda del prof. Nannini di Siena, mio antico insegnante.
ESTRATTO 15 <<40:57 – 42:27 >>
La domanda del Prof. Nannini è in due parti. La riassumo così:
- Quale è la posizione di P. rispetto alla violazione della diseguaglianza di Bell e a quello che ciò ha implicato per le teorie a variabili nascoste, come quella di Bohm.
- Ma soprattutto, c’è da chiedersi se esista una forma particolare di questo processo che sia valida solo per la coscienza. Potrebbe essere nei microtuboli come ipotizzato da Penrose e inoltre, di questo processo come si può rispondere all’obiezione di Churchland e altri che questa teoria sia di livello troppo basso, mentre la coscienza sembra essere una proprietà emergente di dinamiche di livello più alto. Che mi pare un po’ quello che ci diceva P. del punto di vista di Chrisley.
Servono alcune spiegazioni, credo.
Per la prima domanda il teorema di Bell, da cui le cosiddette diseguaglianze di Bell , formulato nel classico articolo “On the Einstein Podolsky Rosen Paradox” (link in descrizione), stabilisce, detta in parole poverissime, che non possa essere valido il realismo locale a variabili nascoste se è valida la meccanica quantistica.
Gli esperimenti successivi hanno dimostrato ogni volta che la meccanica quantistica rimane valida mentre ogni forma di realismo locale a variabili nascoste risulta falsificato.
Rimane però il fatto che l’interpretazione di Bohm è sì a variabili nascoste e tendente a una forma di “realismo” ma è non locale, quindi non è direttamente investita dai risultati degli esperimenti sul teorema di Bell. In realtà la popolarità di questa interpretazione ha perso, negli anni, sempre più terreno più che altro perché è considerata problematica per via della non località implicita, in parte, ma soprattutto perché sembra complicare inutilmente la matematica della meccanica quantistica, come già detto.
Per la seconda domanda si tira in ballo la “Teoria Orchestrata della Riduzione Obiettiva” (Orchestrated Objective Reduction, o Orch-OR), formulata da Roger Penrose e Stuart Hameroff, che suggerisce che la coscienza possa emergere da fenomeni quantistici che avvengono all’interno dei microtubuli nei neuroni. I microtubuli, di cui ho dato la scala quando parlavamo dei rapporti tra le grandezze coinvolte nella struttura del cervello, sono componenti strutturali di tutte le cellule, inclusi i neuroni, e formano parte del citoscheletro. Essi sono costituiti da una rete di tubulina, una proteina che forma dei tubi cavi. Secondo Hameroff, i microtubuli nei neuroni non sono solo elementi strutturali, ma potrebbero essere coinvolti in processi di calcolo a livello quantistico.
Questa teoria fino a una decina di anni fa era assai “calda” e uscivano spesso articoli che la riguardavano. Ho però l’impressione che essa, non avendo prodotto nessuna evidenza, abbia perso molto appeal, negli ultimi anni. Vi lascio tra le fonti un link all’articolo con cui, nel 2013 Penrose e Hameroff hanno rilanciato la loro teoria e quello a un breve commento il cui intento è stroncare definitivamente la loro proposta.
Ed ecco infine la risposta di P.
ESTRATTO 16 << 42:25-44:18>>
- Alla prima domanda P. risponde come ho anticipato io sopra: la teoria di Bohm è non locale quindi non è inficiata dal teorema di Bell
- Alla seconda risponde, chiosando sulla teoria Orch-OR e tirando dentro anche la gravità quantistica e su questo mi fermerei anche, perché la cosa appare fantasiosa oltre ogni limite. P. conclude infine però che no, non c’è al momento un meccanismo legato all’idea dell’informazione attiva che giustifichi il passaggio alla consapevolezza dell’informzione non cosciente.
Sorvolo qui sulle ultime domande. Pareva impossibile ma siamo ormai arrivati in fondo a questa lunga analisi.
Come chiudere un video così lungo e pieno di cose che sicuramente ho spiegato molto molto male?
Riepiloghiamo un po’? Dai, coraggio, se siete arrivati fino a qui scrivete nei commenti “Booohm” per ricevere la mia più grande solidarietà!
In estrema sintesi, Paavo Pylkkanen suggerisce che il cervello umano potrebbe funzionare come un apparato di misura quantistico, capace di rivelare aspetti del mondo quantistico nel dominio classico. Questa proposta è audace e affascinante, ma solleva diverse questioni critiche che meritano molta attenzione.
Secondo P., il cervello non solo processa informazioni a livello classico, ma potrebbe anche interagire con il dominio quantistico in modi che influenzano la coscienza e la percezione. L’idea è che i processi cerebrali possano essere così sensibili da rispondere a effetti quantistici ipotetici come l’onda pilota.
Attualmente, però, non ci sono prove empiriche concrete che dimostrino che il cervello operi effettivamente come un apparato di misura quantistico. La maggior parte delle neuroscienze si basa su modelli classici che non richiedono l’ipotesi di processi quantistici per spiegare la coscienza.
Come detto, i processi quantistici avvengono a scale estremamente piccole, mentre il cervello opera su scale alquanto più grandi. La transizione tra i due domini è complessa e non è chiaro come i processi quantistici possano avere un impatto significativo a livello macroscopico senza essere decoerenti. Sulla decoerenza, altro fenomeno affascinante non mi sono soffermato. Lo farò in futuro, magari parlando di un libro assai interessante e, come ti sbagli, veramente visionario di Max Tegmark: “L’universo Matematico”.
L’idea di non località quantistica contrasta con la nostra comprensione classica della causalità nel cervello. Anche se le sinapsi e le reti neurali mostrano comportamenti complessi, non ci sono indicazioni che richiedano l’introduzione di concetti quantistici per essere comprese.
Esistono modelli alternativi per spiegare la coscienza, come la Teoria dell’Informazione Integrata di Tononi (IIT), che fornisce una metrica, chiamata Φ (phi), per quantificare il livello di integrazione dell’informazione di un sistema. La teoria enfatizza che la coscienza non dipende necessariamente dalla complessità computazionale, ma dalla struttura e dalla connessione delle informazioni all’interno del sistema. Oppure la Teoria del Workspace Globale di Baars, che propone che la coscienza “emerga” come risultato dell’interazione tra diverse aree del cervello attraverso un “spazio di lavoro globale” che permette l’integrazione e la distribuzione di informazioni tra moduli cognitivi specializzati.
Entrambe queste teorie, prese ad esempio, non richiedono l’ipotesi di processi quantistici. Questi modelli offrono spiegazioni basate su dati empirici e sono al momento ben più avanti nel loro percorso di sperimentazione.
In conclusione, l’idea di Pylkkanen che il cervello possa operare come un apparato di misura quantistico è intrigante, ma rimane altamente speculativa e immaginifica. Le sfide legate alla mancanza di prove empiriche, alla scala dei processi e alla complessità della biologia cerebrale sollevano dubbi significativi sulla validità di questa proposta. Fino a quando non saranno disponibili dati empirici concreti che supportino queste idee, l’interpretazione quantistica della coscienza deve essere trattata con molta moltissima cautela.
Ma questo non toglie che è chi guarda lontano, al limitare dell’orizzonte e tra le nebbie della metafisica, che spesso porta l’inaspettato nella riflessione scientifica. Per questo se da una parte va protetto il rigore del corpus delle conoscenze comprovate, è importante ricavare ampi spazi per la speculazione pura e non frenata dal bigottismo intellettuale. Certo, guardando lontano si rischia pure di inciampare sul più piccolo sassolino: ci vuole del coraggio.
Un saluto!
Fonti
(I link amazon sono sponsorizzati)
Paavo Pylkkanen The role of information in the explanation of consciousness: youtu.be/az8hONtstkk
Paavo Pylkkanen, Is the Brain Analogous to a Quantum Measuring Apparatus? philarchive.org/archive/PYLITB
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Max Tegmark, L’Universo matematico: La ricerca della natura ultima della realtà: amzn.to/3TqeTxl